L' autostrada della morte

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  1. EdLan
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    Confine Kuwait - Iraq, Highway 80, 26 febbraio 1991

    Il sole stava ormai per tramontare, e il suo maestoso spettacolo era visibile alla lunga fila di carri armati, autoblindi, e veicoli militari di diverso genere, alternati a mezzi civili e autobus, si estendeva per diversi chilometri lungo la Highway 80, un grosso serpente di metallo, sporcato dalla polvere del deserto e dal sangue degli uomini morti in battaglia. La formazione si muoveva alla massima velocità consentita dai mezzi non esattamente all' avanguardia, nel tentativo di sfuggire alla coalizione occidentale che aveva riconquistato il Kuwait e costretto il glorioso esercito iracheno alla ritirata.
    Lui stava lì, seduto sulla torretta del carro, braccia conserte e sguardo imbronciato, la consapevolezza di aver perso una guerra, del dover essere fuggito come un pollo per evitare di essere ucciso da un nemico esageratamente più forte, di aver subito un' umiliante sconfitta davanti al mondo intero.
    <buh!> sentì, quando un paio di mani gli sferrarono due vigorose pacche sulle spalle. Capì che non poteva essere che lui, Rashid. Quel ragazzo era ancora giovane, non possedeva capacità in battaglia superiori agli altri soldati, ma sicuramente possedeva una voglia di vivere superiore a quella di tutto il resto dei soldati del convoglio messi insieme.
    Si girò, solo per far vedere a Rashid che non era intenzionato a scherzare. La sua espressione impressionò così tanto il giovane da fargli scomparire dal volto il perenne sorriso e portarlo a sedersi, accanto a lui, sulla torretta.
    Rimasero per diversi minuti, muti, ad osservare il sole che pian piano scendeva sotto i monti dell' Iraq, finché non fu completamente buio, e i comandanti dei carri ordinarono di proseguire senza accendere i fari, per evitare di essere notati dai bombardieri americani.
    <perché sei qui?> chiese Rashid, rompendo il silenzio.
    <forse perché sono un soldato, il regime ha deciso di iniziare una guerra, e io sono andato a combattere, e ora sono qui perché stiamo fuggendo da questa guerra senza senso! Ti basta come risposta?> rispose, aggressivo. Ma che domande faceva quel ragazzo? Doveva essere uno che della vita non aveva capito nulla, se prende la guerra come un gioco.
    Rashid si sforzò di non scomporsi di fronte all' atteggiamento del compagno, alzò la testa lentamente fino a puntarla contro il cielo cosparso di stelle.
    <guarda, non ti sembrano bellissime?> chiese.
    <piantala, che mi sembri...> non terminò la frase, attirato da un rumore proveniente dalla testa del convoglio, un grosso botto, seguito dopo pochi secondi da altre due esplosioni della medesima intensità.
    <che sta succedendo?> domandò.
    <cosa vuoi che ne sappia io? - rispose Rashid – sembravano delle esplosioni>
    <non saremo finiti su delle mine> disse. Non si faceva illusioni, erano finiti su delle mine.
    <guarda, il convoglio si sta fermando> fece notare Rashid.
    Rimasero quindi fermi per diversi minuti, mentre un numero sempre crescente di uomini correva avanti e indietro urlando ordini, mentre alcuni mezzi iniziavano a muoversi in modo disordinato.
    <vado ad informarmi> disse Rashid, prima di scendere dal carro armato per cercare di capire in che modo dovesse muoversi il convoglio.
    <aspetta, Rashid. Ascolta> disse.
    <ti ascolto, dimmi pure> rispose Rashid.
    <non me, idiota! Stai zitto ed ascolta. Non senti una specie di rombo, in lontananza?>
    <umh... mi pare di no. No, aspetta, lo sento anche io! Che cosa sono?> domandò il giovane.
    <non lo intuisci?> rispose amaro, mentre lo stesso amaro sospetto si insinuava nelle menti di entrambi i soldati.
    Non fu nemmeno necessario avvisare il resto del convoglio, dopo pochi minuti tutti si accorsero del rombo dei bombardieri che si avvicinavano. Il rombo della morte che chiama. La morte che porta la bandiera a stelle e strisce. I paladini della giustizia che si avventano sulla preda più debole. L' altra faccia della guerra.
    E fu così che in un attimo si generò una grande fuga: i due poterono osservare i soldati uscire frettolosamente dai carri, dalle macchine, dai camion, e fuggire in modo disordinato nella notte.
    Anche Rashid prese a correre, salvo fermarsi dopo qualche metro, per aspettare il suo compagno di conversazione.
    <vai tu – rispose – io sto arrivando> disse.
    Scese velocemente la scaletta della torretta del carro, per ritrovarsi davanti il pilota del carro perso nel panico più completo.
    <che succede?> domandò ansioso.
    <ci stanno attaccando! Scappa, veloce!> rispose.
    Mentre il pilota saliva velocemente la scaletta, si avvicinò ad uno zaino lasciato per terra, si chinò su di esso, aprì la cerniera ed estrasse con cura una fotografia.
    La foto lo rappresentava in compagnia di una ragazza, il cui aspetto però non era pienamente definibile a causa del burqa che portava: infatti, il pesante abito le copriva quasi interamente il volto, lasciando scoperti solo gli occhi, grandi occhi verdi.
    Se li ricordava bene quegli occhi, erano gli occhi di sua sorella, che lo avevano accompagnato durante tutta la sua vita. Li aveva visti accesi e pieni di vita durante la sua infanzia, li aveva visti in lacrime, quando lei fu costretta a recarsi nella casa del suo nuovo marito, li aveva visti spenti, sul suo corpo senza vita, segnato dalle violenze e dagli abusi.
    Le lacrime scendevano sul suo viso, incurante di tutto ciò che succedeva all' esterno, della distruzione che si stava generando attorno a lui. Fu una delle esplosioni, particolarmente vicina, a riportarlo alla realtà: infilò la foto in una delle tasche della divisa. Quindi, senza ulteriori indugi, iniziò a salire la scaletta per uscire dal carro. Non fece in tempo però, perché un' altra esplosione fece ribaltare letteralmente il carro armato, facendolo sbattere di testa contro la sabbia del deserto. Non perse i sensi, ma rimase sensibilmente confuso da quella botta. Era consapevole del fatto che se non avesse fatto in fretta sarebbe stato ucciso dalle truppe americane, quindi senza perdere tempo si liberò dal carro armato e senza curarsi di ciò che accadeva attorno a lui iniziò a correre nel deserto, con tutte le forze di cui disponeva.
    Dietro di lui, l' inferno: i bombardieri americani cavalcavano il cielo nel buio della notte, come grossi corvi neri, continuando ininterrottamente a lanciare bombe sull' ormai inerme convoglio, abbandonato dai soldati iracheni che correvano, visibili dall' alto come un gruppo di formiche del deserto.
    Continuava la sua corsa folle, incurante di ciò che accadeva, incapace di sentire le urla dei comandanti intenti a riorganizzare la truppa né quelle dei soldati caduti, dai corpi martoriati dalle bombe, né il suono dei suoi stessi piedi, che a intervalli regolari picchiavano con violenza la sabbia.
    Il quadro della situazione pareva già abbastanza catastrofico, ma evidente il destino aveva ancora qualcosa in serbo per lui.
    Un venticello iniziò a farsi strada tra le dune, dapprima lieve ed incapace di ostacolare la corsa dei soldati nella notte, e poi, gradualmente, sempre più potente, iniziando a portare con sé diversi granelli di sabbia, che sbattevano violentemente contro la pelle e gli abiti degli uomini.
    In pochi minuti, il deserto si trasformò in un inferno di sabbia: i movimenti erano difficoltosi, il campo visivo ridotto a pochi metri, senza nessuna possibilità di orientarsi.
    Si trovava in difficoltà, aveva viaggiato tutto il giorno, era stanco, non sapeva dove andare, ed era sferzato continuamente dalla sabbia che lo attaccava con la stessa veemenza di un colpo di frusta.
    Passavano i minuti, continuava a correre, ma le sue speranze si affievolivano ad ogni passo, la paura di morire sempre più forte nel suo cuore. Infine, tutto quel lungo flusso di pensieri terminò, sostituito solo dal vuoto più nero, quando fu colpito in pieno da un masso di dimensioni considerevoli, lasciandolo a terra senza sensi.


    <hei tu, si, dico a te: svegliati!> sentiva una voce attorno a lui, una voce sconosciuta, ma non riusciva ad identificare il suo padrone, la vista era annebbiata e il cervello ancora spento. Non riuscì a pronunciare una frase, dalla sua bocca impastata uscirono solamente dei mugugni, accompagnati da alcuni granelli di sabbia.
    <te lo spiego con poche, semplici parole: sei stato colpito da un masso e sei svenuto. Sei stato molto fortunato però, sai? Uno dei nostri ti ha trovato prima che la sabbia ti sotterrasse, e ti ha portato qui. Tieni, mangia qualcosa, poi vai alla tenda del comandante per farti assegnare gli ordini> disse l' uomo, che venne identificato come un medico militare. Gli porse una pagnotta leggermente rafferma e una bottiglietta di acqua. Prese il cibo e l' acqua e lo mangiò in fretta, sentendosi subito meglio; quindi si alzò lentamente ed iniziò a scrollarsi di dosso la sabbia che era rimasta nei vestiti.
    Infine, mise la mano nella tasca, ed i suoi occhi sgranati tradivano il suo stupore. La foto non c' era più. Iniziò a controllare tutte le tasche della divisa muovendosi freneticamente, come se avesse una tarantola nei pantaloni.
    Controllò anche nella montagnetta di sabbia che aveva riversato per terra, controllò più e più volte, sempre senza risultato. Quando fu sicuro di aver cercato dappertutto, si sedette sulla branda sulla quale si era risvegliato, testa china, lacrime agli occhi, e per la prima volta nella sua vita, un senso di solitudine totale. Non c' era veramente più nessuno nella sua vita: i suoi genitori, sua sorella, i suoi amici: tutti morti, per i più disparati motivi. Le lacrime scendevano a fiumi dai suoi occhi, la sua mente persa nel vuoto più totale, tanto che sentì a malapena la frase del medico, che annunciava l' arrivo del soldato che lo aveva salvato. Gli venne anche da pensare che sarebbe stato meglio morire durante la tempesta, piuttosto che essere salvato e rimanere solo, morto dentro.
    <buh!> sentì, quando un paio di mani gli sferrarono due energiche pacche sulle spalle. Fu in quel momento che capì. Non disse nulla, si alzò lentamente, si girò verso Rashid e lo abbracciò, il volto pieno di lacrime ora consolato da un largo sorriso.
     
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